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Comunicati 2018

Beati gli operatori di pace: lettera pastorale del vescovo Muser

“Facciamo memoria della nostra storia per costruire ponti di pace”. Lo afferma monsignor Ivo Muser nella lettera pastorale “Beati gli operatori di pace”, scritta in occasione del centenario della fine della Prima guerra mondiale. E, guardando al futuro, il vescovo lancia un monito: “Davanti alle infinite sofferenze che le guerre, senza eccezione, sempre provocano, non possiamo permetterci di mettere in gioco la pace gettando benzina sul fuoco dei conflitti. È fondato e necessario rammentare la storia, ma senza abusarne per legittimare con nuovi atti ingiusti i torti commessi”.

Con la firma dell’armistizio, l’11 novembre 1918, da parte della Germania si concludeva la prima guerra mondiale, uno dei conflitti più sanguinosi della nostra storia, nel quale persero la vita milioni di persone. “Deve colpirci e indurci a riflettere il fatto che in questo incendio di vaste proporzioni, che chiamiamo prima guerra mondiale, si fronteggiarono soprattutto cristiani e nazioni che con naturalezza si dicevano cristiane”, scrive il vescovo Muser nella sua lettera pastorale. Una guerra salutata con favore da molte persone, tra le quali anche l’allora vescovo di Bressanone Franz Egger, che – come ricorda Muser – nella lettera pastorale del 30 luglio 1914, affermava: “Se mai c’è stata una guerra giusta, allora è sicuramente quella attuale”. Di tutt’altro avviso le parole di papa Benedetto XV, che “con perseveranza esortava alla pace e definiva questa guerra una ‘inutile strage’ – sottolinea il vescovo – un suicidio dell’Europa civilizzata. Questo conflitto fu voluto da molti e quasi comunemente definito ‘una guerra santa’, talvolta anche un ‘giudizio divino’ nei confronti di quanti erano considerati nemici della fede e della patria”.

Fare memoria, rafforzare la volontà di pace
Fare memoria oggi, ad un secolo di distanza, della Grande Guerra, deve essere per tutti un’occasione per rafforzare la volontà di pace. “La pace va voluta e cercata – afferma monsignor Muser -, la pace ha bisogno di essere curata e accompagnata in modo vigile, affinché non venga sacrificata per presunti interessi superiori. La memoria e la riflessione servono a mantenere vivo il ricordo: per amore della pace, per amore della dignità umana, per amore del nostro futuro comune”.
Il vescovo invita a dare un nome “alle radici della guerra: come il nazionalismo, diventato un surrogato della religione; l‘odio, il disprezzo e l‘arroganza verso altri popoli; la pretesa ingiustificata di potere assoluto su vita e morte, ma anche la brama di ricchezza e di conquista”. “Allora come oggi – prosegue monsignor Muser – la pace viene minacciata da massicci deficit di giustizia e violazioni dei diritti umani. Particolarmente pericolose sono anche la glorificazione e la giustificazione della violenza: un chiaro e forte no deve attraversare tutta la nostra società, quando gruppi di persone sono sospettati in modo generico o quando si invita a ripulire la nostra terra da determinate categorie di persone.

Nessuna guerra è una vittoria
Nel fare memoria del dramma che si è consumato un secolo fa, il vescovo ricorda che nessuna guerra è una vittoria. “I monumenti di ogni genere inneggianti alla vittoria, che rimandano a dittature e guerre – scrive il presule –, dovrebbero perdere la loro forza di attrazione una volta per tutte. Sarebbe un segno concreto e lungimirante se la piazza davanti al monumento alla Vittoria a Bolzano fosse rinominata in piazza dedicata alla pace, alla riconciliazione, alla comprensione, alla volontà di convivenza! Non si chiamano vittorie quelle che si raggiungono attraverso guerra, nazionalismo, disprezzo di altri popoli, lingue e culture. Alla fine di una guerra ci sono sempre e solo sconfitti!”.

Un ricordo riconciliato per costruire insieme ponti di pace
Il vescovo invita a “liberarsi della vecchia immagine del nemico e dei metodi usati per costruirla e giustificarla”. “Un ricordo riconciliato significa manifestare la volontà politica che fa diventare partner e amici i nemici di un tempo – aggiunge –. I cristiani hanno il compito di gestire il futuro operando per la pace”.
Guardando al presente, il vescovo afferma che “oggi sta a noi mantenere aperte le frontiere e fare in modo che possa crescere assieme ciò che è strettamente collegato: nei cuori e nelle menti, grazie alle molte occasioni e possibilità che ci sono offerte in un’Europa riconciliata, unita e con Regioni forti”. Monsignor Muser auspica una società abitata da uomini e donne di pace “con lo sguardo rivolto al futuro”, impegnati nel “perseguire con decisione l’unità nella diversità: qui e in un’Europa comune, dove diverse culture, lingue e confessioni religiose si incontrano e si impreziosiscono reciprocamente”.
“Oggi – afferma il vescovo nella sua lettera pastorale – abbiamo bisogno di segni concreti che sappiano unirci e riconciliarci, che ci aiutino a comprendere assieme la storia, a rammentare, a interpretare e a perdonare. Ogni parte ha avuto vittime e colpevoli”.
Tutti possono diventare “operatori di pace”, a partire dall’impegno a conoscere gli altri: “che sia il proprio vicino o vicina – spiega Muser – una persona appartenente ad un altro gruppo linguistico, il migrante con la sua storia e le sue speranze. Conoscere veramente l’altro costruisce un ponte per la pace”.

La guerra non ha inizio sui campi di battaglia
Nel fare memoria degli orrori della Grande Guerra, monsignor Muser invita a non dimenticare che la guerra “non ha inizio sui campi di battaglia, ma nei pensieri, nei sentimenti e nelle parole delle persone”. E invita, inoltre, a non dimenticare “le migliaia di giovani, anche della nostra terra, mandati al massacro. Sono un monito a lavorare per concreti progetti di pace. L’auspicio è che siano soprattutto i nostri giovani a costruire assieme il loro presente e il loro futuro”. “La pace - conclude il vescovo – non è una cosa scontata, ma va voluta e costruita giorno per giorno”.