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Vorträge & Ansprachen

Seelsorgetagung

Am Tag meiner offiziellen Ernennung zum Bischof unserer Diözese, am 27. Juli 2011, habe ich im Bozner Pastoralzentrum gesagt: „Ich stehe heute als neuernannter Bischof nicht mit einem Programm vor der Diözese, wohl aber mit einem großen Bekenntnis. Und dieses Bekenntnis des Apostels Petrus wird mein bischöfliches Leitwort sein: Tu es Christus. Du bist Christus. Tu sei il Cristo. Tö es le Crist. Christlicher Glaube ist keine Lehre, kein Buch, keine Lebensphilosophie, keine Struktur, keine Institution, kein Verbot, keine schöne Idee und kein Konzept. Christlicher Glaube ist Bekenntnis und Beziehung zu einer lebendigen Person“.Heute, zehn Tage nach meiner Bischofsweihe und zum Abschluss der diesjährigen Seelsorgetagung, möchte ich nichts anderes tun als vor Euch allen, diesem repräsentativsten Kreis unserer Ortskirche, Zeugnis abzulegen, warum ich dieses Leitwort für meinen bischöflichen Dienst gewählt habe und was es mir bedeutet. Und ich bitte Euch alle, Mitbrüder im priesterlichen Dienst, Diakone, Ordensleute, pastorale Mitarbeiterinnen und Mitarbeiter auf der Ebene der Pfarreien, Dekanate, Seelsorgeeinheiten, der Schule und der Diözese, dieses Leitwort mitzutragen, lebendig und fruchtbar zu machen, gleichsam hinein zu übersetzen in unsere Ortskirche. Dieses Bekenntnis ist unser konkreter Dienst und Auftrag für die Menschen in unserem Land. Warum noch Christ sein?
In Diskussionen - vor allem mit jungen Menschen - bin ich schon oft mit folgenden Fragen konfrontiert worden: Warum bist du Christ? Warum soll ich Christ sein? Warum zum Menschsein auch noch das Christsein? Ist Christsein mehr als Menschsein? Dabei ist mir aufgefallen, dass auf die Frage, worin die Identität des Christlichen besteht, in solchen Diskussionen oft sehr allgemeine Antworten gegeben werden: Christentum will Liebe, Gerechtigkeit, Lebenssinn, Gutes tun, Menschlichkeit, Solidarität. Aber wollen das nicht auch Nichtchristen? Heute sagen andere oft nicht einfach anderes, sondern das Gleiche: Auch Nichtchristen sind für Liebe, Gerechtigkeit, Lebenssinn, Gutes tun, Menschlichkeit, Solidarität. Und wir kennen alle Beispiele, wo sie es in der Praxis nicht weniger sind als Christen. Wenn aber andere das Gleiche sagen, wozu dann noch Christ sein?Die Frage, was christlicher Glaube will, worin christliche Identität besteht, wo das spezifisch Christliche festzumachen ist, hat sich heute ohne Zweifel verschärft und meiner Einschätzung nach, wird sich diese Frage noch verschärfen - und das keineswegs nur zum Nachteil der Christen. Christen werden zunehmend "Angefragte" sein, und in diesem Sinn - so hoffe ich - auch "Gefragte". Die Frage, warum ich Christ bin, lässt sich immer weniger mit einem bloßen Traditionsargument beantworten; diese Frage ist auch für unseren Südtiroler Kontext längst keine theoretische mehr; diese Frage müssen wir auch nicht mehr im Religionsunterricht, in der Predigt oder in einer theologischen Vorlesung konstruieren, um auf mögliche "adversarii" zu antworten; diese Frage wird zunehmend zu einer konkreten und alltäglichen Anfrage an die eigene Identität. Und persönlich kann ich dieser Situation, in die wir gestellt sind, viel Lebendiges und Ursprüngliches abgewinnen.Christlicher Glaube steht heute in doppelter Konfrontation: mit den großen Weltreligionen einerseits und mit den nichtchristlichen säkularen Humanismen andererseits. Und selbst innerkirchlich stellt sich heute mit mehr oder weniger vorgehaltener Hand oft die Frage: Ist das christliche Bekenntnis - verglichen mit den Weltreligionen und den modernen Humanismen - etwas wesentlich Anderes, noch etwas Besonderes?Wir sind nicht die ersten, die um die Identität des Christlichen ringen. Eine solche Aussage ist mir wichtig, um uns nicht zu überfordern und um uns nicht zu überschätzen. Wer vorgibt, dass Christen erst heute und heute besonders um ihre Identität bangen müssten, oder wer vorgibt, in der schlechtest möglichen Epoche der Kirchengeschichte zu leben, kennt die Kirchengeschichte nicht. Die Aussage, dass wir nicht die ersten sind, die um ihre christliche Identität ringen, ist mir aber auch wichtig, um uns daran zu erinnern, dass das Ringen um die christliche Identität so alt ist wie das christliche Bekenntnis selber. Christliche Identität ist geworden und sie ist Identität, die stets neu zu erwerben und zu erringen ist; sie ist nicht etwas Statisches und Unbewegliches. Und dieses Ringen ist vom Bekenntnis selber her gefordert und legitim - auch heute.Für Christen ist dieses Ringen kein Verhängnis, sondern ein Auftrag, eine Zu-mutung ihres eigenen Glaubens. Ein nicht hinterfragter Glaube läuft Gefahr, nicht mehr gefragt zu sein. Und dieses Ringen weiß: Auch heute ist Heilszeit. Diese Aussage treffen Christen nicht aus einem fragwürdigen Harmoniebedürfnis oder aus einer verbissenen Durchhalteparole heraus, sondern weil sie Christen sind. Mit Romano Guardini teile ich die Überzeugung: "Es mag vielleicht bessere Zeiten gegeben haben als die unsere; aber das ist unsere; und in dieser Zeit sind wir gefragt". Che cosa contraddistingue il cristianesimo? In che cosa consiste la nostra identità cristiana e insieme il nostro compito e il servizio della Chiesa nel mondo e per il mondo? Secondo la testimonianza delle origini del cristianesimo e della tradizione cristiana, secondo la testimonianza dei cristiani e dei non cristiani, l’essenza primordiale del cristianesimo è Gesù di Nazareth, continuamente e nuovamente riconosciuto come il Cristo. Non un libro o un’idea astratta, ma una Persona vivente. E questa concreta Persona diventa l’esperienza fondamentale dei credenti. Per questa Persona si dividono gli animi e in questa Persona assumono significato Dio, l’uomo e il mondo. Da ciò si comprende che la questione fondamentale dell’identità cristiana diventa: Chi è dunque costui?” (Mc 4,41), oppure “Ma voi, chi dite che io sia?”(Mc 8,29; Mt 16,15). Per rispondere a queste domande si sono formate le varie professioni cristologiche della fede. L’intero Nuovo Testamento è in fondo nient’altro che una ricerca pluriforme di risposte a questa domanda. Alla base delle controversie cristologiche sta questa domanda. E vorrei osservare che la questione dell’identità di Cristo si esprime dal Nuovo Testamento fino ad oggi, in tre domande:
Chi è Costui nella sua relazione con Dio?
Chi è costui nella sua relazione con noi?
Che cosa ne consegue per il nostro rapporto con Dio?
Anche oggi i vari tentativi di risposta a questa domanda non riescono a penetrarne la profondità.
Il fondamento già posto (cfr. 1 Cor. 3,11)
Ciò che è proprio, caratteristico dell’identità cristiana è considerare Gesù di Nazareth come veramente decisivo, risolutivo, normativo per il rapporto dell’uomo con Dio, con gli uomini, con la società e il creato, in quanto –secondo la formula biblica abbreviata- egli è “Gesù Cristo”. Se la fede cristiana fin dalle origini ha associato in un unico appellativo il nome (Gesù) e il titolo messianico (Cristo), ciò significa che in Gesù si identificano la persona, la missione e il messaggio. Questa è in ultima analisi l’essenziale caratteristica della fede cristiana, di fronte alla quale tutto il resto è secondario. Gesù è il Cristo. L’identità cristiana, cioè l’identità acquisita nella fede in Gesù che è il Cristo, è quindi un’identità legata ad una Persona. Tale identità non si acquisisce accettando un sistema o una dottrina, ma accogliendo una Persona. Con questa professione di fede (Tu sei il Cristo) si dichiara: Gesú di Nazareth è il Cristo mandato da Dio, ossia il Messia consacrato dallo Spirito, il compimento escatologico della storia. La peculiarità di questa professione sta nel fatto che la fede cristiana assegna a un determinato singolo uomo e alla sua vita in un preciso e unico momento della storia, un’importanza definitiva, escatologica e universale per la nostra relazione con Dio e per la salvezza della storia intera e quindi anche per la salvezza della vita del singolo uomo.
La professione di fede in Gesù di Nazareth che è il Cristo, è quindi da una parte provocatoriamente concreta, dall’altra assolutamente universale. Questa professione fonda sia la determinatezza, la non scambiabilità e la diversità del cristianesimo, sia la sua universale apertura e responsabilità. Se vogliamo che la professione di fede in Gesù Cristo sia o diventi nuovamente rilevante –anche nel dialogo con le religioni non cristiane e i moderni umanesimi -, questo non potrà e non dovrà avvenire rincorrendo e ripetendo in ritardo quello che gli altri dicono e fanno prima di noi. Così il cristianesimo diverrebbe irrilevante e superfluo. L’attualizzazione, la modernizzazione, il solidarismo da soli non portano a niente. I cristiani devono sapere ciò che vogliono e ciò che hanno da dire e da dare agli altri. Possono e devono essere pronti a rispondere a chi domanda ragione della loro speranza (cfr 1Pt 3,15). Devono, pur con tutta l’apertura agli altri, offrire quanto loro è proprio, nelle parole, nelle valutazioni, nelle realizzazioni. L’identità cristiana non si fonda su principi astratti, concetti e idee, e questo proprio perché il cristianesimo non può essere ridotto in ultima analisi a idee, principi astratti, comportamenti umani. La professione di fede cristiana diventa estranea, invisibile e senza importanza se è distolta dal fondamento sul quale è edificata: Gesù di Nazareth, il Cristo.
Contro ogni forzatura, confusione, stravolgimento, trasformazione del cristianesimo (spesso operati in buona fede) bisogna chiamare le cose col loro nome: l’identità cristiana si può mantenere soltanto se resta ancorata unicamente a Cristo, che non è un principio o un’intenzionalità o il traguardo di una evoluzione, ma una persona ben determinata, non scambiabile e non indistinta, con un nome ben determinato. Dunque la fede cristiana non è anzitutto una somma di insegnamenti e precetti, istituzioni e strutture. Anche tutto questo ha la sua importanza, ma sempre un’importanza relativa (nel senso letterale della parola). La fede cristiana è Gesù Cristo e una viva comunione con Lui. "Wir dagegen verkündigen Christus als den Gekreuzigten ..." (1 Kor 1,23)Dieses Unterscheidend - Christliche, das in Jesus, dem Christus, und im Glauben an ihn, besteht, möchte ich jetzt noch von Paulus her unterstreichen. Gerade sein Ringen könnten wir verstehen als ein Musterbeispiel christlicher Identitätssuche.Wann immer in der Kirchengeschichte die zentrale Bedeutung des gekreuzigten und auferweckten Jesus als des Maßgebenden für das Verhältnis von Mensch und Gott, von Mensch und Mensch verdunkelt wurde, dann ist das "gerechtfertigt durch den Glauben" an Jesus Christus neu akut geworden und hat die Geister geschieden. Immer dann hat Paulus mit dem Galaterbrief und dem Römerbrief eine geradezu explosive Kraft entwickelt: So war es zur Zeit des Augustinus gegenüber dem Pelagianismus. So erst recht zur Zeit der Reformatoren gegenüber der spätmittelalterlichen Werkgerechtigkeit. Und heute, in der Zeit einer säkularisierten Werkfrömmigkeit nach dem Leistungsprinzip? Das paulinische "gerechtfertigt durch den Glauben" will nicht gute Taten ausschließen und es ist heute Gott sei Dank nicht mehr eine Botschaft, über die sich katholische und evangelische Theologie streiten müssten. Aber Grundlage der christlichen Existenz und Kriterium für das Bestehen vor Gott kann nicht die Berufung auf irgendwelche guten Taten sein, sondern nur das unbedingte Festhalten an Gott durch Jesus den Christus in einem glaubenden Vertrauen, gegen welches weder das Versagen des Menschen noch irgendwelche guten Werke aufkommen, aus dem aber Werke der Liebe selbstverständlich folgen. Eine ungemein tröstliche Botschaft, die dem Menschen durch alles Versagen, Irren und Verzweifeln hindurch eine solide Basis und Identität gibt. Und die es zugleich vom frommen Leistungsdruck befreit zu einer Freiheit, Hoffnung und Liebe, die durch schlimme und schlimmste Situationen hindurchzutragen vermag.
Das ist für Paulus das Fundament, auf das er baut, welches nach seinen eigenen Worten gelegt ist (vgl. 1Kor 3,11): Jesus Christus, der Ursprung, Grundlage, Inhalt und Norm der paulinischen Verkündigung, seines Kerygmas ist. Ich meine, dass Paulus dem Ringen um die christliche Identität durch alle die Jahrhunderte hindurch wie kein zweiter nach Jesus immer wieder neue Impulse gegeben hat: um im Christentum - was nicht selbstverständlich ist - Jesus den Christus wiederzufinden und ihm nachzufolgen.Deutlicher als irgendeinem anderen ist es Paulus gelungen, nicht nur aufgrund theologischer Reflexion, sondern aufgrund konkreter Christusleidenschaft und Christusnachfolge, das zum Ausdruck zu bringen, was das letztlich Unterscheidende der christlichen Identität ist:+Das Unterscheidende ist Christus selbst.
Aber was bewahrt uns vor allen Verwechslungen dieses Christus mit anderen religiösen, politischen oder säkularen Christusfiguren?+ Das Unterscheidende ist Christus, der mit dem geschichtlichen Jesus von Nazareth identisch ist.
Was aber bewahrt uns vor allen Verwechslungen dieses geschichtlichen Jesus Christus mit falschen Jesus - oder Christusbildern der Vergangenheit und der Gegenwart?+ Das Unterscheidende ist ganz wörtlich nach Paulus „Jesus Christus und dieser als der Gekreuzigte“.
Als der Gekreuzigte unterscheidet sich dieser Jesus Christus unverwechselbar von den vielen erhöhten und lebendigen Göttern und vergötterten Religionsstiftern, Machthabern, Helden, Idolen und Stars der Weltgeschichte. Das Kreuz ist Grund, Kraft und Norm des Christlichen: das große Distinktivum, das diesen Glauben und seinen Herrn auf dem Weltmarkt der religiösen und säkularen Weltanschauungen von anderen konkurrierenden Religionen, Ideologien und Utopien und ihren Herren radikal unterscheidet und ihn zugleich in der Wirklichkeit des konkreten Lebens mit seinen Konflikten verwurzelt. Das Kreuz trennt den christlichen Glauben vom Unglauben und vom Aberglauben. Das Kreuz im Licht der Auferweckung, aber zugleich die Auferweckung im Schatten des Kreuzes. Ohne den Glauben an das Kreuz fehlt dem Glauben an den Auferweckten die Unterschiedenheit und Entschiedenheit. Ohne den Glauben an die Auferweckung fehlt dem Glauben an den Gekreuzigten die Bestätigung und Ermächtigung.Johannes meint wohl dasselbe unterscheidend Christliche wie Paulus, wenn er in freilich sehr verschiedener Begrifflichkeit Jesus den „Weg“, die „Wahrheit“ und das „Leben“ nennt und das mit den typisch johanneischen Bildern veranschaulicht: Er ist „Brot des Lebens“', das „Licht der Welt“, die „Tür“, der wahre „Weinstock“, der wahre „Hirt, der sein Leben hingibt für die Schafe“. Jesus ist offensichtlich nicht ein Name, der nur ständig im Mund zu führen ist, sondern der Weg, die Wahrheit, das Leben, das zu tun ist. Die Wahrheit des christliches Bekenntnisses und damit die Identität des Christlichen soll im letzten nicht "geschaut" und "theoretisiert", sondern "getan" und "praktiziert" werden. Der christliche Wahrheitsbegriff ist nicht wie der griechische kontemplativ-theoretisch, sondern kontemplativ-praktisch. Eine Identität, die nicht nur gesucht und gefunden, sondern die befolgt und in Wahrhaftigkeit wahr gemacht, bewahrheitet und bewährt werden will. Eine Identität, die auf Praxis zielt, die auf den Weg ruft. Ein bloß gedachter oder theoretisierter Weg ist kein Weg! Deswegen sind die besten Interpreten christlicher Identität die Heiligen, die - sicher als Kinder ihrer Zeit - einen lebendigen Kommentar zum Leben Jesu und zu seinem Evangelium verfasst haben. Dass keiner dieser Kommentare vollständig oder fehlerfrei ist, schmälert nicht ihre identitätsstiftende Bedeutung für ihre Zeit und oft weit über ihre Zeit hinaus. Warum also noch Christ sein?Warum Christ sein? - das war meine Ausgangsfrage, die Frage, um die christliche Identität ringt. Die Antwort klingt fast banal, und doch ist es für mich die Antwort: Christ bin ich wegen Jesus Christus, den Gekreuzigten und Auferstandenen. Und diese christliche Identität - und ich habe den Eindruck, dass unsere Zeit dafür besonders sensibel ist - ist nur zu gewinnen vom Wagnis der Nachfolge Jesu und einer persönlichen Christusbeziehung her.
Wenn wir nach dem "Wesen des Christentums" fragen und damit nach unserer eigenen Identität, dann können wir uns nicht dem Wort Pauls VI. entziehen: "Mehr als Lehrer braucht unsere Welt Zeugen". Die Entdeckung Jesu und der Weg zum Glauben führen vor allem über die Begegnung und Erfahrung von gläubigen Menschen - auch im ökumenischen und interreligiösen Dialog. Nicht die anderen sind zuständig für unsere Identität, und nicht die anderen gefährden unsere Identität.